L’ho vista. Correva giù in strada come se niente fosse. Con i suoi auricolari, col suo telefono intelligente (almeno quello!) al braccio, coi suoi capelli raccolti. Mi sono messo alla finestra per fumarmi una sigaretta, l’ultimo vizio in questi giorni di domiciliari, e me la sono vista correre praticamente davanti agli occhi, mentre dalla radio le voci di Presidenti e Virologi e Anestesisti e Infermiere e Attori e Presentatope… ci supplicano di restarcene in casa, senza deroghe, senza sotterfugi, senza cercarci scuse; ci dicono queste cose sui nostri doveri, che è solo qualche settimana di rinunce, che se non stiamo attenti, se non rispettiamo le regole, niente, allora l’attesa sarà più lunga. Che dobbiamo essere forti, se non per noi almeno per rispettare le vite degli altri.
Dei più deboli dei più fragili dei più indifesi.
Cose così.
Poi ci ricordano quanto è già lunga la lista dei morti.
Che poi, se non ho capito male, i morti non sarebbero quelli che non rispettano le regole, ma gli altri, quelli chiusi in casa, quelli che il contagio glielo porta in cucina o in salotto qualcuno che non ce l’ha mica fatta a fare a meno della sua corsetta.
Lei intanto si è fermata: deve aver percepito qualcosa, e allora si è girata, mi ha visto e mi ha sorriso.
Diamine!
Sono andato in camera da letto, ho frugato nell’armadio, e sono tornato alla finestra.
È dai piccoli dettagli che ti accorgi che la tua è una chiamata: lei è lì ferma che guarda il suo display, lei mi lascia il tempo che mi serve.
Menomale che ho comprato anche il silenziatore.