Era già stato avvisato il falegname. La madre e la bambina erano piccole, sarebbe bastata un’unica bara per tutte e due. Don Enea aveva impartito l’estrema unzione e benedetto le salme. Le donne intorno recitavano le preghiere dei morti e si asciugavano gli occhi. Radunati sullo spiazzo davanti casa, gli uomini imprecavano contro la spagnola che poco a poco si stava portando via tutto il paese. Li contavano uno per uno i morti. Il primo era stato Ferruccio il barrocciaio e poi a cascata il sarto, il campanaro, Piero il suonatore d’organino, Elio e Olimpia e Santina e Olga dai lunghi capelli e tanti, tanti altri, cavatori come loro nelle cave di alabastro, giù alla Lespa. Al Camposanto non facevano in tempo a chiudere una fossa che bisognava aprirne un’altra. Proprio un bel guadagno era stato tornare a casa dopo gli anni passati in trincea a respirare fango e riempirsi gli occhi di paura e di morte. Ed ecco che era scoppiata un’altra guerra e questa volta pareva che nessuno si sarebbe salvato.

Sullo spiazzo, fra gli uomini c’era anche Cesare il marito e il padre delle due morte. Impacciato nel vestito buono, riceveva gli abbracci imbarazzati e le avare parole con le quali i presenti tentavano di fargli coraggio, mentre lui smarrito voltava la testa nascondendo le lacrime. Ci sarebbe voluta una bella bevuta, pensavano tutti, ma nessuno in quel momento se la sentiva di andare all’osteria, anche se da sempre nel vino avevano cercato aiuto per affrontare il dolore e condividere la gioia.

All’improvviso si avvertì un mutamento, uno scompiglio all’interno della casa e voci sempre più concitate che ripetevano “Hanno aperto gli occhi, respirano, sono vive. Correte da Don Enea!”.  Ed a questo punto del racconto, sempre uguale parola per parola, mia madre aggiungeva: “Eravamo sul Catafalco, pronte per il Camposanto, ci credevano morte ed invece eravamo vive!”. Mia madre è vissuta fino a novantasei anni, lucida e vitale. Nei nostri incontri estivi puntualizzava sempre che voleva essere cremata, ma aggiungeva: “Assicuratevi però che sia morta davvero”. Così abbiamo fatto.

In questo tempo di giorni sospesi, penso alla storia di mia nonna e di mia madre. Non so trarne alcuna conclusione se non che il caso o la sorte decidano della nostra vita. Come nei secoli oscuri, nell’età dell’ignoranza, nel Medioevo?

Ma nel mio retaggio c’è anche l’età della ragione, la volontà dell’uomo di non arrendersi, la consapevolezza che si progredisce sperimentando, la certezza che proprio adesso studiosi e ricercatori di tutto il mondo stanno lavorando con un unico obiettivo, la messa a punto del vaccino che possa immunizzarci. A tappe, attraverso tentativi e fallimenti, anche se la strada è lunga e costellata di croci, ce la faranno. L’incognita è il tempo. E a me basterà quello che mi rimane? Nessuno conosce il conto dei suoi giorni ma contro di me giocano gli anni, quasi ottantuno, e la funzionalità respiratoria parzialmente compromessa. “Lei è una persona fragile” ha detto la dottoressa in modo gentile e sorridendo.

Prenderò tutte le precauzioni, rispetterò tutti i divieti e, senza contare i giorni, spierò il passare delle stagioni.

Per ora è primavera ed il giardino promette e trabocca di tulipani rossi.

Autore Maria Gemma Girolami

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